Ho iniziato a lavorare a questo romanzo nel 2012, riscrivendo e riprendendo la storia più volte, influenzata da letture e film che ripropongono la scena di una nostalgica New York underground. Nella mia stanza, David Bowie, i Joy Division e i Sonic Youth hanno suonato tutti i giorni, in cuffia, mentre mi calavo, piano piano, nel racconto di quell’universo di malinconia metropolitana e feroce, così diversa dal mio presente e da chi mi circondava.
Ho pensato a New York come la città dove tutto è possibile, dove puoi combinare qualche pasticcio, infrangere qualche regola o venire a conoscenza di qualche mistero e magari essere colti in flagrante, venire sgridati e poterlo raccontare agli amici. È così che ho cominciato a giocare al proibizionismo anche quando tutto poteva essere permesso, sentendomi un po’ bambina, un po’ attrice di Hollywood e un po’ fuorilegge.